LO STRESS LAVORO-CORRELATO E I FATTORI DI RISCHIO

LO STRESS LAVORO-CORRELATO E I FATTORI DI RISCHIO

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Lo stress lavoro-correlato è una condizione accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche e sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative; sulla base di questo, la risposta allo stress può variare sia a livello interpersonale (tra diversi individui) sia a livello intrapersonale (lo stesso lavoratore, in contesti o momenti diversi, può reagire allo stress in differenti modi). 

La concezione moderna dello stress lavoro-correlato ha individuato tre elementi chiave: 

  • lo stressor, ovvero lo stimolo (di diversa natura) che innalza nell’individuo i livelli di stress; 

  • lo strain, ovvero il modo in cui una persona reagisce alle situazioni stressanti; le reazioni negative allo stress possono essere psicologiche (es. ansia, depressione), fisiche (es. mal di testa, disturbi gastrointestinali) o comportamentali (es. abuso di sostanze, assenteismo, isolamento sociale); 

  • le caratteristiche personali dell’individuo, che possono alterare la relazione tra stressor e strain. 

 
Lo stress lavoro-correlato è posto in relazione a numerosi fattori di rischio, alcuni relativi alla natura e alle caratteristiche del lavoro, altri al contesto organizzativo e sociale.  
Tra i fattori di rischio relativi alla natura e alle caratteristiche del lavoro, si possono citare: 

  • il CARICO DI LAVORO, ovvero le richieste che il lavoro impone all’individuo; il carico di lavoro può differenziarsi sulla base di aspetti quantitativi (il numero dei compiti da portare a termine in un determinato periodo di tempo) e aspetti qualitativi (la complessità del lavoro da svolgere rispetto alle abilità possedute). Il sovraccarico di lavoro – inteso sia come sovradimensionamento quantitativo o per tipologia di compiti troppo complessi – può causare ansia, depressione, burnout, frustrazione e incentivare ad abbandonare l’organizzazione per cui si lavora. 

  • l’ORARIO DI LAVORO, il quale può diventare un possibile fattore di rischio in particolare nel caso di lavoro con turnazione notturna o nel caso di un orario di lavoro prolungato (da intendere come più di 48 ore settimanali). Le turnazioni notturne causano alterazioni dei ritmi circadiani e – come anche per i lavori con un orario prolungato – possono influire negativamente sulla qualità e quantità di ore di sonno, favorendo l’insorgere di fatica fisica, ansia e depressione. Altri fattori che possono incidere sul benessere dei lavoratori sono la maggior o minor rigidità dell’orario di lavoro e l’imprevedibilità di quest’ultimo (es. lavoro su chiamata).   

Tra i fattori di rischio relativi al contesto organizzativo e sociale, alcuni esempi sono: 

  • il RUOLO CHE SIA ASSUME NELL’ORGANIZZAZIONE, inteso come l’insieme delle aspettative comportamentali che ci si attende da una persona all’interno del contesto lavorativo. Due tipiche disfunzioni di questo fattore di rischio sono il conflitto di ruolo e l’ambiguità di ruolo: il conflitto di ruolo si può verificare a) quando il soddisfare un’aspettativa di comportamento rende difficile garantire allo stesso tempo anche la realizzazione di altre aspettative per lo stesso ruolo, b) quando i valori e credenze del lavoratore sono in contrasto con le aspettative richieste per il ruolo che ricopre, c) quando il lavoratore riveste più ruoli tra loro in contrapposizione o difficili da coordinare (es. conflitto lavoro-famiglia); una seconda possibile disfunzione è l’ambiguità di ruolo, che si presenta quando le informazioni in merito ai comportamenti attesti sono inadeguate (es. confuse o troppo generiche). 

  • lo SVILUPPO DI CARRIERA, che tra le sue criticità può comprendere la presenza o meno – all’interno dell’organizzazione – di opportunità di promozione, apprendimento e sviluppo, oppure l’insicurezza lavorativa (aspettativa di perdere il lavoro e rimanere disoccupati). 

  • le RELAZIONI INTERPERSONALI, le quali sono alla base del supporto sociale tra colleghi (es. aiuto e cooperazione nel portare a termine dei compiti). Altri meccanismi che le relazioni interpersonali possono condizionare, sono lo stile di leadership adottato dal superiore o gli episodi di discriminazione che possono verificarsi all’interno di un’organizzazione (es. mobbing). 

  • la GIUSTIZIA ORGANIZZATIVA, che deriva dal concetto di equità, fa riferimento alla percezione di essere trattati in modo giusto sul posto di lavoro. Le forme di giustizia che dovrebbero essere rispettate – onde evitare un aumento dello stress lavoro-correlato – sono: a) la giustizia distributiva, ovvero la percezione di adeguatezza rispetto a quanto si riceve dall’organizzazione (es. salario, benefit, responsabilità, carico e orario di lavoro), b) la giustizia procedurale, ovvero l’equità nel processo decisionale, c) la giustizia interazionale, ovvero il processo di comunicazione che accompagna la decisione e la relazione interpersonale (es. onestà, rispetto, cortesia, civiltà). La situazione peggiore in cui un lavoratore può trovarsi è con tutte e tre le forme di ingiustizia attive: in questo caso si riceve meno del dovuto, con procedure poco trasparenti e il tutto viene comunicato con superficialità e poco rispetto per la persona. 
     

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